SILVIA MEI

care. Quanto più amiamo tanto più soffriamo, la sensibilità personale è direttamente proporzionale al grado di accettazione delle ingiustizie che ci circondano. La vita è una costante ricerca di un equilibrio tra il bene e il male, Silvia lo trova scavando tra le proprie emozioni, la volontà di bilanciare il vantaggio di quelle negative, “che demoliscono la psiche”, col recupero di quelle positive, che afferra con forza. Una volta che la sofferenza ha raggiunto l’apice, mentre è al lavoro su quelle tele scure, Silvia sente l’esigenza di consolarsi aggiungendo dei fiori, sempre di più, “una voce mi diceva di farlo, più fiori!”… Forse l’ultima carezza dell’adorata nonna prima che l’abbandonasse. Quelle piante che tanto amava in vita, ne divengono il simbolo nella pittura di Silvia: “rappresentano il bene, o comunque qualcosa di positivo che rinasce e si rigenera…”. Solo chi ha provato l’inferno di una malattia che annienta un tuo caro può capire fino in fondo, cosa si prova… La morte diventa paradossalmente una tregua a quell’angoscia, ma è solo il preludio del vuoto che dilaga nell’anima e cambia per sempre la tua prospettiva. Solo la dolcezza del ricordo può aiutarti ad uscire da quella morsa oscura… La memoria indelebile di un pensiero felice… Un brano musicale che peschiamo dal Jukebox della nostra vita, quel “registro di emozioni incastrate in un tempo che pare non esserci più, ma che in realtà esiste ancora”. Gli uccellacci neri forse se ne andranno e torneranno i colori, l’infinità dei fiori, colti nella loro meravigliosa differenza, a definire l’unicità dell’essere umano, la sua straordinarietà. “Ogni donna ogni persona è bella o brutta per la sua diversità…. Infinita come i fiori”. Gianluca Mangano

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