SILVIA MEI
potenziati e moltiplicati, laddove non svaniscono, catturano la mia attenzione perché raccontano un mondo interiore inaspettatamente famigliare…. Posso attingere dal mio inconscio, affrontare il mio lato oscuro, palesare a me stesso paure, sensi di colpa e insicurezze che intaccano la mia stima, tutto ciò che per educazione tengo nascosto, in un mondo pieno di norme che ci vuole dritti e omologati. Non sono solo, trovo conforto negli occhi lucidi di quelle anime perse, ne condivido il dolore, la disperazione, ma al contempo ne avverto la dignità, il coraggio, la forza di provare a ricolorare insieme la propria esistenza. “Mi interessano solo le relazioni, non importa con chi, l’importante è ciò che pensa una persona, non ciò che si vede”. Mentre ascolto ammirato le sue parole, ricche di senso, comprendo fino in fondo la nobiltà della sua poetica, la grandezza della sua arte, nella capacità di scavalcare la convenzione sociale per cogliere il bello nella varietà dell’esistenza, un ciclo dove nulla rimane immutato, ma si trasforma e diviene, comunque, irresistibilmente attraente… È bastato poco tempo per entrare in confidenza, Silvia e Federico mi hanno aperto le porte della casa in cui convivono…mentre lui cucina Culurgiones al sugo degni di un sardo chef stellato, lei si racconta davanti alle opere a cui sta lavorando. “Occhi sinceri che hanno visto il ritmo della gioia e il silenzio del dolore”… Non mi sbagliavo su quello sguardo, i personaggi dipinti nelle sue opere hanno gli occhi dell’autore, raccontano l’incalzarsi altalenante delle sue maturazioni mentali, fisiche ed emotive… “Non so cosa divida la mia carne dal mio stato d’animo, ma evolve continuamente in base agli eventi e il mio corpo ne è perennemente intriso”. Mei inizia il proprio rapporto con la pittura abbandonandosi ad un istinto ancestrale, animalesco, che lega ad una idea di spontaneità priva di impalcatura sociale, senza filtri… È un viscerale mezzo di comunicazione, la via per riempire il vuoto della solitudine con la verità celata che esiste dentro ognuno di noi, ma che nessuno vede perché siamo stati istruiti ad ignorare. Le emozioni sono liberamente espresse sulla tela, stratificate l’una sull’altra, la traccia del proprio intimo suona all’unisono nei colori e nel cuore dell’artista: “I quadri li ritocco perché parlano di un vissuto, se cambia il mio vissuto non resisto li devo ritoccare… Continuo a lavorarci finché non mi danno la sensazione che sto cercando… Riporto le cose che mi colpiscono sia in positivo che in negativo, ciò che vivo in prima persona…”. È in questo punto della conversazione che Silvia cambia tono, il suo volto si fa cupo, la voce tremolante, parla lentamente, riferendosi ad un determinato periodo della sua produzione, del suo passato… I corpi delle donne vengono avvolti da una morsa oscura, “uccellacci” neri fanno incursione nei suoi ora lugubri scenari, è il dolore che incombe, l’elaborazione del proprio malessere dinnanzi alla malattia e alla morte sopraggiunte a persone a lei
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