SILVIA MEI

“Che bella persona” ho pensato quando l’ho incontrata per la prima volta, era il 2023 e stavamo allestendo lo stand presso Cremona Art Fair. Sino a quel pomeriggio avevo fantasticato su come potesse essere dal vivo, osservando attentamente la foto che la ritrae accanto a Pier, in posa davanti all’opera che hanno appena trattato. Lui è palesemente compiaciuto, lo sbrilluccichio negli occhi e le virgole agli angoli della bocca tradiscono la soddisfazione di chi ha appena acquisito un capolavoro. Lei accenna cautamente un garbato sorriso che svela dolcezza. È giovane e molto graziosa, il suo volto liscio, dai lineamenti delicati, contrasta con le maschere deformi che caratterizzano i suoi grotteschi personaggi. È la profondità dello sguardo ad accomunarli, occhi sinceri che hanno visto il ritmo della gioia e il silenzio del dolore. Spudoratamente nudi o eccentricamente agghindati si mostrano comunque spogli, privati del presente, raccontano, da un pianeta surreale, la desolazione della condizione umana, intenta a districare i sogni dalle illusioni. Una delle quattro figure ha i capelli del suo stesso rosso rame, forse un autoritratto di quando era bambina, una sorta di avatar incarnatosi dal prezioso mondo dei suoi ricordi, quando allungava affettuosamente il braccio verso il proprio cucciolo, sfiorandolo appena con la punta delle dita. In quel piccolo gesto di grazia vedo la bellezza, la speranza di potersi salvare da una realtà ingiusta, ipocrita e indifferente. Quel giorno Silvia mi ha salutato con un sorriso complice, come se ci conoscessimo da tempo, ho sentito un’energia favorevole, in un attimo l’intesa, l’ennesima conferma che dietro all’ingegno di una grande artista, pulsa il cuore di una “bella persona”. Cagliari, classe 1985, è una fanciulla in confronto agli altri maestri che hanno collaborato con la Galleria Mangano, un’eccezione rispetto alla nostra mission originale, che prevede la volontà di preservare la memoria e il prestigio di chi, dopo l’arte povera, ha contribuito al rimbalzo della nuova figurazione italiana. Gli scenari cambiano inevitabilmente, anche se, come disse qualcuno, la storia ha la forma di una spirale che ciclicamente ritorna sullo stesso punto, ma con una consapevolezza maggiore. Abbiamo fatto un altro giro, i giovani di allora son divenuti saggi da contemplare, quelli di oggi sono i “pionieri di un nuovo linguaggio contemporaneo, in grado di comunicare con le nuove generazioni di collezionisti”. Il percorso di Silvia sembra affiancarsi, con una curvatura più ampia, alla scia tracciata nel cuore degli anni ottanta da Luigi Mastrangelo, fu lui a superare la rabbia lacerante del nichilismo punk con un “dolce naufragio”. Colgo facilmente nella poetica di Mei la stessa matrice psichedelica, volta ad uscire dalle coordinate antropomorfe, per “ribellarsi (felicemente) al sistema mondo, andare al di là delle regole, mettere in scena nuovi paradigmi, e sfidare l’ordine sociale esistente”. L’incontro con l’arte di Silvia fu una folgorazione per mio fratello, ne rimase estasiato, comprese immediatamente la lucidità del pensiero, JUKEBOX

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