OMAR GALLIANI - Nuovi Angeli, nuove carte
Molto più della pittura, non solo per una questione di materiali, di colore ma soprattutto di tempo, il disegno in generale - e quello di Galliani su tutti - rivela slanci emotivi e pentimenti, accenti dell'animo e rigore dell'intelletto con una straordinaria dose di sincerità tanto evidente da essere preso come punto di riferimento per definire la personalità medesima del suo autore. Potremmo addirittura affermare che il disegno sia la vera e propria firma emotiva dell'artista che lo produce e lo strumento più immediato con cui egli possa confrontarsi con il principio creativo: “Due sono le parti principali nelle quali si divide la pittura cioè lineamenti, che circondano le figure dei corpi finiti, i quali lineamenti si dimandano disegni. La seconda è detta ombra. Ma questo disegno è di tanta eccellenza che non solo ricerca le opere di natura, ma infinite più che quelle che fa natura. Questo comanda allo scultore di terminare con scienza i suoi simulacri, ed a tutte le arti manuali, ancora che fossero infinite, insegna il loro perfetto fine: e per questo concluderemo non solamente essere scienza, ma una deità essere e con debito nome ricordata, la qual deità ripete tutte le opere evidenti fatte dal sommo Iddio”. (Leonardo da Vinci, Traccia 130, “Trattato della Pittura”, 1489-1518) La scelta del disegno è dunque un atto volontario da parte dell'artista, il migliore nel tradurre l'ispirazione che proviene all'uomo da Dio, al fine di rendere visibile a tutti l'entità delle sue visioni. Per nostra fortuna Omar Galliani è disegnatore straordinario: e se i lavori presenti in mostra più vicini ai nostri giorni dimostrano la disarmante sicurezza di un tratto che si fa addirittura pittura nella gestione del tono e del chiaroscuro così come nella definizione plastica delle masse, sono proprio gli esemplari più datati che testimoniano le sue straordinarie capacità di invenzione, di saper agire a livello scultoreo attraverso un mezzo grafico che gioca sull'illusione chiaroscurale. A tal proposito, straordinaria la grande figura datata 1984, quell'angelo imponente che giunge a noi dall'alto e che ha la stessa forza evocativa del “SanMarco che libera uno schiavo”, celebre dipinto che Jacomo Tintoretto realizzò nel 1548 e nel quale, così come nel nostro autore, viene ribaltato lo spazio mentale in cui si colloca la scena per rendere molto più terreno e dunque evidente quanto distanti ma anche quanto prossimi il santo del Robusti - e l'angelo di Galliani - siano nei nostri confronti. Vi è infine la questione del supporto, quella carta varia ed eventuale (ora pagine vergini ora recuperate da una letteratura lontana o da mappe geografiche dimenticate) mediante la quale il disegno rende la sua natura satura di significati che vanno dal tratto medesimo all'intensità, dalla leggerezza alla più completa evidenza: in Galliani, la carta assume anche un valore privato che si unisce a quel suo quotidiano intimo e inviolabile nel quale egli agisce e pensa. Un'intimità dunque familiare oltre che da studio, una dimensione solitaria che sa di rivelazione, accessibile al punto che permette alla stessa idea di attraversarlo senza schermi, evitando qualsiasi blocco della mente ma anzi, sgorgando libera su di essa. Lo scorrere della matita o del carboncino sulla carta è rapido, affascinante, il loro suono - per chi lo riconosce, poi lo ricerca - è sensazione inebriante, preziosa al limite del sacro, un richiamo costante all'interazione e alla condivisione che non può essere eluso o passato in secondo piano, in quell'unico e irripetibile istante in cui l'artista e i suoi angeli sono ancora una cosa sola. Francesco Mutti
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