GUGLIELMO ASCHIERI EMILIO
trasformandosi in un attraversamento “laterale” delle stesse. Per Achille Bonito Oliva “non esiste più un’idea evoluzionistica e lineare dello sviluppo dell’arte, ma esiste un’arte che vive dentro i colpi e i contraccolpi della storia”. E ancora: “Se lavanguardia non si misura più in termini di sperimentazione di nuove tecniche e nuovi materiali, si può recuperare lo strumento per eccellenza dell’arte: la pittura.” È in questi termini che Aschieri trova le motivazioni per abbandonare la sua genesi di derivazione poverista, non a caso il critico Germano Celant fu suomaestro, per dedicarsi, con tutta l’anima, al recupero concettuale della pittura; scegliendo il luogo comune della natura morta, sino ad allora relegata ad un ruolo di decorazione leziosa, per “attraversarla” con una ricerca ironica e dissacrante. Come vi ho detto nell’introduzione ho avuto il privilegio di conoscere personalmente Guglielmo. Eravamo alla metà degli anni Novanta quando lui, ormai a ermato artista nel mercato nazionale e internazionale, nel periodo più proli - co della sua carriera, permise a me, studente diplomato all’artistico, di dipingere direttamente nel suo studio. Eh si ho lavorato anco a anco con Aschieri, seppur per un tempo ridotto è stato il mio maestro, l’ho visto all’opera nel suo mondo, inebriato da melodie antiche e dall’essenza dell’olio di lino. Ricordo che, una volta suonato il campanel- lo, Guglielmo veniva sempre ad aprirmi con quel suo fare gentile e delicato, poche parole, pronunciate rigorosamen- te con la cadenza cremonese. La porta d’ingresso era al piano terra e dava direttamente ad una stanza, ai cui muri erano appesi dei veri e propri capolavori. Il più grande era un trittico: tre lamiere zincate gigantesche, (270x120 cm ciascuna) accostate una in anco all’altra, su cui Aschieri dipinse una Natura Morta di impatto a dir poco sconvol- gente (pp. 14-15) . Gli elementi rappresentati sono sei: una banana, due chi, un pomodoro, una albicocca e una pera. Il genere pittorico che l’artista “attraversa” è quello della natura morta, ma la natura che egli rappresenta non lo è a atto. Aschieri fa un viaggio indietro nel tempo per rianimare un genere antico relegato prevalentemente alla semplice decorazione. Il risultato è una natura pulsante, viva più che mai. I “corpi” degli elementi non sono appog- giati su un supporto di sostegno, ma“ uttuano”autonoma- mente, “stanno in piedi da soli” in uno spazio irreale, aulico, de nito dallo sfondo dorato della lamiera trattata industrialmente. Le gure riprodotte sono presenze al cospetto dello spettatore, che le può ammirare solamente ponendosi a debita distanza, come fossero personaggi di una pala d’altare del Cinquecento. La struttura compositiva scandisce lo spazio in diversi piani che rendono la percezio- ne della profondità. La banana domina la scena, irrompe diagonalmente al centro, verso lo spettatore e divide prepotentemente lo spazio in due gruppi di astanti che sembrano scostarsi per farle spazio: il pomodoro coi chi da una parte e l’albicocca davanti alla pera dall’altra. Tutti i guranti sono rappresentati con un taglio ravvicinato che non avevo mai visto prima. Aschieri idealizza un impianto scenico incentrato sulla decontestualizzazione, la dilatazio- ne e la dissacrazione degli elementi. Le velature ad olio stese con cura devota, atte a far percepire ogni singola sfumatura di colore creata dalla luce, de niscono con realismo mimetico il plasticismo dei volumi che sembrano fuoriuscire dalla super cie del quadro, quasi ad anticipare l’animazione 3D. L’opera risale al 1993 ed è stata esposta nello stesso anno, in occasione della mostra“Inani- mum” presso la prestigiosa Galleria Raucci e Santamaria di Napoli, evento recensito su Flash Art da Gabriele Perretta, che consacra Aschieri nel mercato dell’arte. Solo una anno più tardi, verrà invitato al Museo Luigi Pecci di Prato per partecipare alla mostra “Divieto di Sosta”, curata da Antonella Soldaini, dove presenterà un altro capolavoro emblematico della sua poetica, (p. 3) alla cui ricetta, per ottenere il sapore desiderato, aggiungerà un pizzico di ironia, quanto basta per percorrere con inequivo- cabile deferenza il terreno scelto. Questa volta, infatti, la natura morta vive all’interno di un impianto iconogra co tipicamente classico che puntualmente Aschieri reinter- preta, ma con un esclusivo tono faceto, mai provocatorio. Il frutto è un colorato omaggio alla pittura del Rinascimento, verdi foglie di lattuga si palesano nel corpo centrale di un polittico incernierato di stampo quattrocentesco, dalle dimensioni monumentali. Ai lati rispettivamente una banana ed una zucchina si ergono tonicamente sulle ante. In basso i personaggi tondi della predella, due pere, un pomodoro ed una melanzana, contribuiscono al bilancia- mento delle tinte e all’anatomia della composizione, introducendo lo spettatore alla stessa. A certi care la scena dilettevole un arancia calante dall’alto della cimasa. Di nuovo al supporto della lamiera di ferro, in questo caso tropicalizzata, la facoltà di rimandare al desiderato e etto solenne, un tempo a dato alla foglia d’oro. Straniante luminosità non più atta a celebrare la sacralità di ra gura- zioni religiose, ma ora complice di un cortocircuito tempo- rale, in cui tradizione e innovazione si scontrano in una combinazione magistralmente controllata. Aschieri gioca a mischiare generi, tecniche, iconogra e e stili che hanno quali cato la storia della pittura, in una divertente sintesi di inedita ironia che rappresenta la sua personale cifra stilisti- ca. I corpi plasticamente de niti degli elementi sono coinvolti in una sequenza dinamica che sembra distorcerli in una dimensione caricaturale che lascia lo spettatore a bocca aperta. Per Antonella Soldaini “risalendo al concetto di meraviglia di tipo manierista (si pensi ad Arcimboldi) Aschieri attua, con la pratica della dilatazione, un’operazi- one di straniamento e di sorpresa”. Guglielmo Aschieri Emilio dunque si colloca storicamente tra quegli artisti che dopo l’oggettività, l’impersonalità e la neutralità dell’arte concettuale, di matrice anglosassone, adotta il linguaggio della citazione per ricominciare ad esprimersi in prima persona, recupera completamente la manualità della pittura che solamente in Italia gode di una storia di duemila anni. Chiudo con le parole di Guglielmo: “la tecnica scelta non è solo il mezzo per rappresentare qualche cosa, ma è parte integrante del lavoro, si sceglie la più funzionale per arrivare a dire”. Gianluca Mangano 2
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