GIUSEPPE RESTANO
il soggetto preferito da Restano, la sua rappresentazione sarà puntualmente sospesa, nel tempo e nello spazio, apparentemente mimetica ma concettualmente smaterializzata, in un calibrato equilibro tra reale e ideale. Il virtuosismo tecnico, mai fine a se stesso, cattura all’istante l’occhio del fruitore, lo “ipnotizza”. Il rigore del disegno geometrico e la controllata stesura delle tinte, scelte in specifiche varianti tonali, garantiscono all’immagine un aspetto composto, neutro, immacolato, in cui pare deliberatamente assente l’intervento umano. Non c’è spazio per l’emozione romantica di una sfumatura, luci ed ombre sono razionalmente suggerite da scientifici accostamenti tonali, graduali, che generano nell’osservatore un desiderato effetto ottico sfocato, cosicché l’oggetto del ricordo ci appaia contornato da un’aura surreale, onirica, proprio come l’impronta di un’esperienza rievocata alla mente dalla memoria. Quella mattina ero in visita nel suo laboratorio, una luminosa veranda, aperta sui tetti di Città Studi, oasi di pace tra le frenesie metropolitane. In sottofondo la musica “trattenuta” dei Flanger. Impiego un istante a mettermi a mio agio e a rilassarmi in questo “rifugio” raccolto, pulito e ordinato, come lui. Giuseppe è garbato, parla lentamente e a voce bassa, mentre si rolla bellamente una sigaretta, non gli appartiene la rinomata premura milanese. È passato qualche anno dalla sua ultima mostra personale, ci vuole tempo per sistemare le cose… “Oratorio” è un ritorno alle origini che chiude il cerchio del suo lungo percorso artistico. “Il periodo più bello, quando le cose ti emozionano” lo ha vissuto a Grottaglie, in Puglia, dove è nato e cresciuto. Giuseppe ha messo da parte olio, tela ed essenza di trementina, per “tornare a sentire l’odore della ceramica”. Finalmente le opere inedite sono davanti a me, dipinte su piatti di varie dimensioni. Lui le maneggia con disinvolta delicatezza e me le mostra con amorevole soddisfazione, io al contrario le tocco con allarmata cautela, poiché palpabili sono la cura e la dedizione che egli ha speso in queste lucide meraviglie, tanto fragili quanto preziose. Probabilmente è vero che non dipingerà mai più ad olio, o per lo meno non nei termini a cui ci ha abituato. È evidente che il rituale di cui ora ha bisogno sia cambiato con lui, la ceramica è il traguardo di un nuovo stadio, l’aggiornamento ad una maturazione personale e artistica. Penso fermamente che Giuseppe abbia un anima pura, rimasta intaccata dalle insidie di una società dedita al profitto, spesso alla rincorsa di un futuro diverso dalla natura di ognuno di noi. Forse è meglio rallentare, a costo di rimanere indietro, l’unica via per godersi davvero il presente e di conseguenza preservare il passato, Restano lascia che sia la lentezza della pittura a scandire il proprio tempo. La raffinatezza e l’eleganza della sua arte lo rappresentano fedelmente, perché il suo valore è grande ma è velato: “mi piacerebbe ripetere sempre la stessa pennellata… per nascondere per sempre la mia mano”. Il linguaggio infatti, si spoglia ulteriormente di ciò che è divenuto superfluo, l’intervento si semplifica in “elementari” linee verticali, orizzontali e oblique: “togliere per arricchire l’opera”. L’effetto finale è letteralmente sbalorditivo, il supporto tondo si apre allo sguardo come la nuvoletta di un pensiero, sospesa nell’aria. Il ricordo vi si materializza all’interno, nella descrizione rarefatta del tratteggio. È vero Restano è un artista anomalo, ma soprattutto autentico, dipinge e non dipinge, qualcosa che c’è ma non c’è.
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