GIUSEPPE RESTANO
Oratorio. Una parola che sa un po’ di vecchio, ma riguarda intimamente ognuno di noi, ci riporta al tempo in cui finalmente, con le nostre gambe, intraprendemmo entusiasti, il cammino della nostra esistenza, giocandoci, senza saperlo, le basi emotive su cui avremmo arrangiato la nostra indole. D’un tratto liberi dal giudizio dei grandi, ci ritrovammo “autonomi”, nel ritmo eccitante del divenire, ignari di cosa precisamente avremmo combinato, ma con una aspettativa altissima sul futuro, la certezza ingenua o genuina che avremmo facilmente realizzato tutti i nostri sogni, perché indubbiamente, saremmo stati fedeli a noi stessi, alla nostra natura, impossibile immaginare il contrario. L’”Oratorio”, fu il luogo curioso laddove il mondo, sino a quel momento vago ed incantato, iniziò a svelarsi concretamente sotto il nostro consapevole sguardo. Qui abbiamo scoperto che Babbo Natale non esiste, ma la verità che segue l’illusione non ci delude, non ancora, al contrario proviamo compiacimento, perché il mondo è colorato ed è nostro, non resta che tuffarcisi, di testa, senza alcuna paura. Siamo abbastanza grandi per affrontare con coscienza, le nuove vibrazioni della pura realtà, ma ancora sufficientemente piccoli, perché essa non ci appaia contaminata dalle ombre dell’esperienza. L’equilibrio perfetto di questa felice finestra temporale, in cui per la prima volta ci rendiamo conto di esistere, per l’ultima in forma così pura, è la linfa pregiata che ha alimentato, sin dalle origini, la straordinaria produzione artistica di Giuseppe Restano, classe 1970: “il periodo più bello, quando le cose ti emozionano, e poi non più…”. Lo stupore che irradia i bambini tra gli otto e i dieci anni, permane immutato nella sua memoria, il filtro perfetto attraverso il quale vedere la realtà che ci circonda. La vera arte é quella che combacia con la sensibilità dell’artista che l’ha creata, poiché essere tale è una condizione da accogliere e non una scelta da ponderare. Restano dipinge per dipingere, il messaggio non è rilevante, ma la cura lo è, il rituale ordinario attraverso il quale assecondare, con profonda ragione, l’esigenza primaria di “sottolineare le cose importanti della vita”. Quando l’arte è autentica tocca un livello superiore, a partire dagli anni 2000, Giuseppe Restano entra nella storia della pittura italiana, con opere uniche e inimitabili, dove il pensiero e la tecnica appaiono perfettamente calibrati in una formula pacata, elegante, raffinata. Dipingendo le gomme per cancellare, i fogli a righe per imparare a scrivere, o l’inconfondibile illustrazione dell’album griffato Giotto, l’artista ripassa attentamente selezionati capitoli del proprio vissuto, ponendone in luce le immagini che hanno indelebilmente segnato la propria anima: “… è come se avessi un evidenziatore in mano”, mi svela Giuseppe, definendo il proprio atteggiamento verso l’inseparabile pratica pittorica. Di fatto Restano è un attento collezionista di ricordi, sceglie accuratamente quelli da conservare e li “evidenzia” per dar loro valore, così da farne tesoro durante il proprio cammino. Gianluca Marziani descrisse i suoi soggetti come un “bagaglio di feticci mentali… il corredo necessario che costruisce pezzi del nostro immaginario, che poi torna nelle scelte che facciamo in futuro…. “. Il critico milanese coglie il cuore della poetica di Restano, ricordandoci quanto il nostro punto di vista odierno, rispetto al mondo, sia strettamente connesso al nostro vissuto scolastico, alle vacanze che abbiamo trascorso, alle case che abbiamo abitato. Scorci di piscine, luminarie del luna park e pavimenti d’epoca assicurano il nodo che ci lega al nostro passato, raccontano “un immaginario che dall’individuale va all’universale”. Qualunque sia
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