GIUSEPPE GRADELLA

Nel lavoro di Giuseppe Gradella emerge con forza una costante: l’uso di schermi traslucidi – gocce d’acqua, lastre di vetro, pellicola, foglie scheletrate – che velano il soggetto e modulano la luce, creando un’atmosfera sospesa tra presenza e assenza. Nei ritratti femminili, il rosso dei fili e del rossetto si staglia con nettezza sul fondo cenere, suggerendo una femminilità al tempo stesso vibrante e vulnerabile. Lo sguardo, parzialmente celato, diventa allora indizio di emozioni inespresse, rimandando a un teatro interiore in cui l’identità si dilata e si fa mistero. Nelle fotografie in bianco e nero dedicati ai ritratti maschili, il contrasto tra il volto e le increspature dell’acqua o i segni sul vetro si fa canto poetico: i profili sfumati e l’oscurità insistente sembrano custodire memorie sommerse, restituendo un senso di nostalgia e di tempo sospeso. In un sorprendente passaggio simbolico, i soggetti riappaiono dietro una maglia di foglie bianche, come se emergessero da un altrove primordiale. Qui la leggerezza delle trame vegetali conferisce al ritratto un’aura di rinascita, intessendo un dialogo sottile tra la natura e l’anima. Gli ultimi scatti – un paesaggio nebbioso con case in acqua e una natura morta in pennellate sfocate – ampliano la riflessione sul tempo e sulla vanità: Gradella trasforma il quotidiano in un rito visivo, dove ogni immagine è un invito a contemplare l’effimero e a riscoprire, dietro la patina dell’apparenza, la fragile bellezza della memoria. Giacomo Trovato Presidente dell'Associazione Altro Spazio D'arte La fotografia come interpretazione della memoria sospesa Tra veli, riflessi e silenzi, l'obiettivo di Giuseppe Gradella riesce a cogliere l'essenza. Onirici e sospesi. Gli scatti di Giuseppe Gradella sembrano ritrarre i sogni. Immagini ovattate, delicate, avvolte da una luce che non illumina mai del tutto, ma lascia ampio spazio all’immaginazione. Nato a Mantova nel 1973, Gradella approda alla fotografia dopo essersi formato in architettura. Gli è chiaro fin da subito, tuttavia, di non essere interessato alla realtà pura e semplice, così come appare. Non a caso, le sue foto raccontano piuttosto ciò che si cela dietro le apparenze: emozioni, ricordi e stati d’animo. Nelle sue serie più note, le figure umane – spesso femminili – ci appaiono dietro vetri appannati, tende leggere, superfici che ne sfumano e sfilacciano i contorni. Talvolta non mostrano il volto, altre volte i protagonisti degli scatti sembrano perdersi nei loro pensieri. È, insomma, come se l'artista cercasse di catturare l’essenza invisibile delle persone, piuttosto che la loro corporeità. C’è qualcosa di profondamente intimo e poetico nell'estetica di Gradella: colori desaturati, atmosfere malinconiche, un senso costante di sospensione. Ogni scatto si rivela una porta aperta su un mondo interiore, su un frammento di memoria che riappare senza bisogno di spiegazioni. Le sue opere non vogliono semplicemente “narrare una storia”, bensì evocare emozioni universali come la nostalgia, l’attesa, la fragilità. La sua fotografia sussurra, comunica senza alcun clamore in un tempo in cui tutto corre e strepita. E forse è proprio per questo che colpisce nel profondo l'osservatore: perché Gradella ci invita a rallentare, a guardare con maggiore attenzione. A “percepire” e a “sentire” oltre la realtà delle cose. Alessandra Montemurro Vicepresidente dell'Associazione Altro Spazio D'arte APS

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