GIANLUCA SGHERRI
temperature dilatate, descritta da paesaggi immobili e vedute insonorizzate ai limiti del surreale, da oggetti simbolo che ne caratterizzano il lessico - il cucchiaino, le sue celebri tazzine, visioni di pianeti lontani di un multiverso subatomico, divagazioni cosmiche di un cielo stellato “a portata di mano”, come a lui piace dire; ma anche illustrazioni di un mondo popolato di architetture e geometrie costruttiviste dal sapore ludico, di spazi più intimi, quasi privati, dove tutto è circoscritto, ordinato, definito, cristallino: plastici in un tempo sospeso, operazione composita tra il ricordo e la realtà che Sgherri illustra tra deserti sabbiosi, piccoli specchi d'acqua montana, piscine ornate e giardini pensati per un uso domestico, abitati da minuscoli personaggi colti in atto di contemplazione. L'artista stesso rammenta come molte di queste sue visioni siano nate dall'osservazione fantastica del proprio gardino di casa, in gioventù, con il verde del prato circondato dal muretto di cinta fatto di mattoni e ringhiere, identico al rettagnolo di cielo che si staglia in alto, appena sopra lo sguardo. Arrivare a definire il tempo e lo spazio di Sgherri è infine familiarizzare con la sua idea di quiete che egli definisce “noia e ozio” - ma solo nell'ambito di quella dimensione contemplativa che precede e segue uno stato d'animo agente. Per certi versi, l'applicazione filosofica dell'impiegare le proprie energie riflettendo, agendo e tornando a riflettere è sequenza obbligata del fare arte, per cui riflettere, meditare, metabolizzare il proprio stato d'animo porta inevitabile in due direzioni inizialmente sovrapposte, dove il pensiero è l'azione della mente e l'azione è il pensiero del corpo. Ecco perché la pittura di Sgherri è respiro ritmato verso il basso, è battito cardiaco rallentato, non certo teso al risparmio ma alla comprensione di sé, con la sensazione di sapersi misurare passo dopo passo, forse all'infinito. Un modo come un altro per farsi strada nella vita, nella quale per fortuna la pittura non morirà mai. Francesco Mutti
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